Editoriale a cura del Prof. Avv. Fernando Greco, sulla Rivista di Diritto del Risparmio.

La celebre frase, probabilmente mai pronunciata da Galileo Galilei, nel farsesco processo innanzi al Tribunale della Santa Inquisizione, ma attribuitagli postuma, per racchiudere l’atteggiamento contraddittorio della Chiesa cattolica del tempo e per esprimere un dubbio o un’incertezza. Come quelle ingenerate dalla recentissima ordinanza della Terza Sezione Civile[1], di inizio gennaio.

Necessitato punto di partenza, di questa mia breve analisi in controtendenza, è sicuramente l’intrinseco atomismo della pronuncia de qua, che vuole (forse) inaugurare un nuovo filone di ermeneutica. Invero, tale ordinanza costituisce un unico precedente, nel panorama giurisprudenziale, per come consolidatosi nei pronunciamenti emessi dalla Seconda e dalla Terza Sezione della Corte Suprema di Cassazione.

La stessa Terza Sezione Civile, relativamente all’applicabilità dell’art. 1284, comma 4, c.c., ai giudizi di risarcimento da inadempimento contrattuale (in ragione dei precedenti escludenti) ha emesso ordinanza interlocutoria n. 12581/2022, rinviando la causa a nuovo ruolo per la rimessione della stessa all’udienza pubblica, ritenendo che «la questione sia di elevata importanza Ue che su di essa non si sia consolidato un univoco orientamento — di legittimità».

Ciò premesso, in precipua considerazione dell’unicità dell’ordinanza, pare opportuno mutuare, perlomeno nei suoi parametri strutturali, l’indirizzo già precedentemente manifestatosi e consolidatosi, anche in questo mio estemporaneo esercizio di dissenting opinion.  

L’ordinanza del 3 gennaio 2023, n. 61, ha stabilito l’applicabilità, in linea generale, dell’art. 1284, comma 4, c.c. a tutte le obbligazioni pecuniarie, a prescindere dalla loro derivazione, se da negozio giuridico o, del tutto antiteticamente, da altro fatto (o atto) idoneo a produrre obbligazioni e, addirittura, da fatti illeciti. A sostegno di tale assunto, il Collegio ha testualmente sostenuto che:

«L’art. 1284, comma 4, c.c., è stato introdotto al fine di contenere gli effetti negativi della durata dei processi civili, riducendo il vantaggio, per il debitore convenuto in giudizio, derivante dalla lunga durata del processo, attraverso la previsione di un tasso di interesse più elevato di quello ordinario, dal momento della pendenza della lite: si tratta evidentemente di una disposizione (lato sensu “deflattiva” del contenzioso giudiziario), che ha lo scopo di scoraggiare l’inadempimento e rendere svantaggioso il ricorso ad inutile litigiosità.».

Per comprendere le conseguenze, è sempre buona regola partire dall’indagine delle cause; è, dunque, opportuno interrogarsi, prima, e chiarire, in seguito, per quale motivo il quarto comma dell’art. 1284 c.c. esordisca con un incipit ben preciso che, invero, funge da compiuta perimetrazione dell’ambito di applicazione del medesimo comma in commento. Difatti, il ragionamento degli ermellini, secondo cui la norma «non contiene alcuna espressa limitazione di applicabilità delle sue disposizioni a solo alcune categorie di obbligazioni»si presta a essere superabile (e superato) sotto il profilo letterale dalla circostanza che, se davvero non fosse una norma dalla portata perimetrata alle ipotesi in cui le parti possano “a monte” concordare i tassi di interessi per ritardo nel pagamento, non ci sarebbe stata l’esigenza di prevedere quell’incipit, ma, per converso, sarebbe insorta la necessità di dover stabilire, quale criterio generale e residuale, che per qualsivoglia domanda giudiziale e, al contempo, per qualsivoglia tipologia di obbligazioni dalla data della domanda, il tasso legale debba essere integrato dalla legislazione speciale in materia di transazioni commerciali.

In altri termini, quell’incipit si spiega con quanto espressamente sostenuto nella relazione illustrativa al decreto  legge n. 132/2014, laddove la modifica apportata all’art. 1284 c.c., consistente nell’aggiunta del comma 4, è inserita nella rubrica «misure per il contrasto nel ritardo dei pagamenti» ed è finalizzata a «evitare che i tempi del processo civile diventino una forma di finanziamento al ribasso (in ragione dell’applicazione del tasso legale d’interesse) e dunque che il processo stesso venga a tal fine strumentalizzato.».

La volontà del legislatore appare, consequenzialmente, quella di introdurre e riferire tale previsione deflattiva unicamente a quelle ipotesi in cui la parte sia tenuta al tempestivo pagamento di un’obbligazione corrispettiva pecuniaria, sicché nell’ipotesi in cui nel contratto le parti non abbiano previsto, per la suddetta obbligazione, un tasso moratorio in caso di ritardo, dalla data della domanda giudiziale il tasso legale diventa (quasi di default) quello moratorio speciale, delle transazioni commerciali.

In sostanza il legislatore ha inteso estendere l’applicazione degli interessi di mora commerciali oltre il ristretto perimetro delle operazioni tra imprenditori, garantendone l’applicazione, in via sussidiaria, a qualsiasi ulteriore creditore di una controprestazione avente a oggetto una somma di denaro, che in tanto è tardiva, in quanto vi è “a monte” una regolamentazione contrattuale che fissa le tempistiche dell’adempimento.

L’ordinanza n. 61/2023 della Cassazione è, quindi, esuberante, spingendosi finanche oltre l’argine sicuro rappresentato dall’inequivocabile spirito sistematico dell’intervento del legislatore.

La mia “eresia” può essere, tuttavia, arricchita da ulteriori connotati contenutistici, dal momento che, a un attento scrutinio, sono censibili ulteriori pecche nell’iter argomentativo adottato dalla Corte Suprema, che, loro malgrado, concorrono a minarne la condivisibilità.

È dato leggersi, nel testo dell’ordinanza: «In ogni caso, per quanto più sopra esposto, deve ritenersi che anche la mera azione di ripetizione di indebito eventualmente esperita dal correntista per ottenere la restituzione di importi illegittimamente trattenuti dalla banca sulle sue disponibilità, sulla base di clausole contrattuali dichiarate nulle, costituirebbe, comunque, un’azione restitutoria che trova la sua base nel rapporto contrattuale tra banca e cliente (condictio ob causam finitam), cioè si tratterebbe, in ogni caso, di un’azione restitutoria relativa all’inadempimento di un accordo contrattuale, di modo che, persino in base all’indirizzo più restrittivo richiamato dalla corte d’appello (ed il cui fondamento non si condivide, come già chiarito), il relativo credito resterebbe comunque assoggettato alla disposizione di cui all’art. 1284, comma 4, c.c.».

La malcelata illogicità di tale ragionamento risiede nel fatto che l’azione restitutoria (o da ripetizione dell’indebito) origini dalla nullità e, dunque, dall’inefficacia ex tunc della clausola contrattuale. Se non esiste la clausola contrattuale e, quindi, correlativamente, non esiste la relativa obbligazione, è impossibile poter discorrere scientemente di inadempimento, che non può che appartenere all’irrealtà; invero, l’inadempimento presuppone, inderogabilmente, l’esistenza di una obbligazione da eseguire. In altri termini, un inadempimento da obbligazione inesistente può ambire, al più, a essere un paradosso eleggibile accanto a quelli più noti di Russell o di Zenone. Pertanto, le conclusioni cui addiviene la Terza Sezione Civile, nell’ordinanza annotata, paiono scevre di rigore logico, ancor prima che giuridico.

Ancora, si legge: «[…] anche per le obbligazioni che nascono da fatto illecito o da altro fatto o atto idoneo a produrle, nulla esclude che le parti stabiliscano, con una apposita convenzione tra loro (eventualmente successiva al sorgere dell’obbligazione non derivante da rapporto contrattuale, ed eventualmente anteriore al processo), un tasso degli interessi di mora diverso da quello legale “ordinario” di cui all’art. 1284 c.c.: quindi, il riferimento alla possibilità di un diverso accordo tra le parti, contenuto nell’art. 1284, comma 4, c.c., implica certamente che tale ultima disposizione non può ritenersi di carattere imperativo e inderogabile, ma non è invece assolutamente da ritenere indice dell’intenzione del legislatore di delimitare il suo campo di applicazione e, tanto meno, un argomento a sostegno della tesi per cui tale campo di applicazione debba intendersi limitato alle sole obbligazioni di fonte negoziale.».

In maniera non dissimile, anche questo passaggio sembra «Vóce del sén fuggita Pòi richiamàr non vale», scomodando il Metastasio.Tale ragionamento comporta un altro, sostanzialmente omogeno, labirintico circolo vizioso: sostenere che le parti possano concordare un tasso di mora in una convenzione, con la quale vadano a regolare un’obbligazione da fatto illecito aquiliano o da nullità contrattuale e che, quindi, in assenza di specifico accordo si possa applicare il saggio di cui al quarto comma, implica l’ammissione che la norma in commento presupponga che le stesse parti regolamentino contrattualmente (magari in una transazione, che è l’unica ipotesi che sovviene alla mente) il pagamento di una somma a titolo di ripetizione e/o di risarcimento che in quel momento, diviene, ça va sans dire, obbligazione pecuniaria di fonte contrattuale. 

Volgendo alla conclusione, se si dovesse ammettere che il quarto comma dell’art. 1284 c.c. si applichi alla restituzione delle somme indebitamente pagate in forza di un contratto o di clausole dichiarate nulle, tale assunto è destinato a un naturale, fisiologico declino in tutta quella casistica contrattuale nella quale le parti abbiano concordato un tasso di mora (come, per esempio, accade nel contratto di mutuo). Pertanto, nell’eventualità descritta, è evidente come il tasso di mora, concordato “a monte” in contratto dalle parti, per il ritardo nei pagamenti, ben possa essere satisfattivo del surriferito incipit dell’art. 1284 c.c., precludendo, al contempo, qualsivoglia applicazione surrettizia del tasso di cui ai ritardi delle transazioni commerciali.  

Confido che la mia “riabilitazione” possa giungere ben prima dei 359 anni, 4 mesi e 9 giorni attesi dal fisico pisano.


[1] Il riferimento è a Cass. Civ., Sez. III, 3 gennaio 2023, n. 61, Tasso legale degli interessi moratori successivi all’inizio del processo, in caso di azione restitutoria. – Diritto del risparmio.